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Giuseppe Tomasi di Lampedusa

Chi ama Il Gattopardo (romanzo italiano più famoso al mondo) e decide di visitare la casa-museo di Villa Piccolo a Capo d’Orlando, scoprirà che percorrendo gli ambienti interni, la stanza dello scrittore principe Lampedusa, il giardino della villa, i panorami che il medesimo scrittore ammirava e amava, subisce una sorta di magico incantesimo. Percepisce di trovarsi automaticamente traslato negli ambienti e nel giardino di Donnafugata, descritti nel romanzo e nel film di Luchino Visconti.

Infatti, sono molti i visitatori che riferiscono di provare la sensazione, il brivido piacevolissimo di un’influenza viva, come se l’anima dello scrittore Tomasi di Lampedusa fosse ancora lì presente, aggrappata nella sua stanza, ed aleggiasse per gli incantevoli luoghi interni ed esterni della Villa.

Non per nulla il medesimo scrittore scrisse nei Racconti: “In questa villa del resto ritrovo non soltanto la «Sacra Famiglia» della mia infanzia, ma una traccia, affievolita, certo, ma indubitabile, della mia fanciullezza a Santa Margherita e perciò mi piace tanto andarvi”. In tale scritto, egli fa riferimento alla“bacheca Luigi XVI in legno bianco che racchiudeva tre statuine in avorio, la Sacra Famiglia, su fondo cremisi” che “pende adesso al capezzale del letto della stanza in cui dormo nella villa dei miei cugini Piccolo, a Capo d’Orlando”.

Interessante è pure, per gli amanti della buona cucina, una lettera scritta da Tomasi alla moglie a Roma, il 6 aprile 1941 proprio da Villa Piccolo: “(…) Sono arrivato venerdì sera (…), alle quattro del pomeriggio, accolto da enormi tazze di vero cioccolato con panna montata e brioches. Hanno un nuovo cuoco eccellente, ma che purtroppo partirà tra 15 giorni. Ti racconterò il menù di una sola cena ma tipica: lasagne col sugo di carne, carne trita e ‘ricotta’; ‘Vol au vent’ di pasta sfoglia con aragosta e latticello di pesce; cotolette panate con patate alla crema, piselli al prosciutto e una straordinaria torta su ricette di Escoffier: pasta sfoglia, crema molto leggera e ciliegie candite. Il tutto appena tiepido, e nelle quantità abituali”. La descrizione ci fa quasi venire l’acquolina in bocca e la curiosità di assaporare anche noi i medesimi piatti dei gattopardi vissuti a Villa Piccolo.

I lunghi soggiorni di Tomasi nella villa di Capo d’Orlando proseguirono regolarmente anche nel dopoguerra, soprattutto nel periodo di composizione de Il Gattopardo e dei Racconti (1954-1957 anno della sua morte). Ecco una testimonianza del figlio adottivo Gioacchino Lanza Tomasi: “Al primo posto nel suo cuore stava Capo d’Orlando, residenza dei cugini Piccolo”.

Chiediamoci: perché il principe Lampedusa, che aveva viaggiato per tutta l’Europa, amava così tanto Villa Piccolo ed i luoghi di Capo d’Orlando? Solo per affetto verso i cugini preferiti? Solo per la bellezza dei luoghi che gli ricordavano l’infanzia dorata? O solo per l’eccezionale, raffinato e variegato menù di casa Piccolo? Questi fattori hanno senz’altro influito, e moltissimo, ma non furono i soli e neanche i principali ad attirare come un’irresistibile calamita il grande scrittore super colto nella Villa di Capo d’Orlando. La verità è che per Tomasi essa era un’Arcadia, un tempio di elevata cultura umanistica e scientifica, immersa nel verde, rimasto quasi intatto sin dal tempo della Magna Grecia. Un luogo Panico. Un luogo di sileni e di folletti, dipinti dal cugino Casimiro.

Letteratura, storia, scienza, pittura, esoterismo, natura viva e parlante, non erano che pane quotidiano nelle discussioni tra lui e gli adorati cugini Piccolo, in particolare Lucio, poeta barocco. Barocco, come la sua anima di principe siciliano decaduto, anima ancorata, in modo struggente, a mondi scomparsi e irripetibili.

Lo scrisse pure alla moglie che per lui Villa Piccolo era un’Arcadia. Del resto, non può farci meraviglia, basti ricordare che le prime “Arcadie” in Italia furono fondate nel XVII sec. soprattutto da antichi “gattopardi”, come il Duca di Paganica e/o il Duca di Parma agli Orti Palatini, dove addirittura fece edificare un teatro agreste di forma circolare in legno e terra, rivestito di fronde di alloro: identica ambientazione agreste-floreale del teatro circolare all’aperto ideato dai Piccolo, immerso nel verde, a sud-est della Villa (le piante d’alloro perimetrali esistono tuttora).

Significativo (non solo per motivi personali, ma per la letteratura italiana), è il fatto che Lucio Piccolo volle con se il cugino Tomasi durante l’esordio a San Pellegrino Terme, nel 1954. Fu lì che avvenne un prodigio: scaturì in Tomasi la prima scintilla che avrebbe provocato l’incendio di scrivere il romanzo covato da anni, da troppi anni.

Il consolidato sodalizio culturale tra Tomasi e Lucio, basato sulle affinità dei gusti letterari, dopo San Pellegrino Terme, diventò fortissimo, indissolubile, per reciproca necessità di confronto, anche spietato. Tomasi, durante la composizione del romanzo, provava quasi un bisogno fisico di leggere le pagine appena scritte e sentire il parere di Lucio, già consacrato poeta. Come sappiamo, Lucio in gioventù, a Palermo, aveva scherzosamente coniato per lui l’appellativo di “Mostro” (da interpretarsi in vari sensi, come spiega Gioacchino Lanza Tomasi). Il sarcasmo tra i due talvolta era molto pungente. Per esempio, durante la stesura del romanzo, ogni tanto Lucio Piccolo telefonava a Palermo invitando Lampedusa con frasi simili: “Mostro, quando vieni a sciacquare i panni in Vina?”

Vina è un torrentello che ha dato il nome alla contrata ove è ubicatala la villa. La battuta sfottente aveva un duplice significato nascosto: l’invito a fare come Manzoni, che andò a sciacquare i panni in Arno (invito però riduttivo, vista la differenza tra Arno e il rachitico Torrentello Vina), e la fiorettata di recarsi dal maestro, per sottintendere che la poetica di Tomasi necessitava delle correzioni (o stroncature) di Lucio, suggerite man mano che il principe leggeva a voce alta le bozze del romanzo, nel salotto di villa Piccolo.

È fantastico pensare che da un gioco, con punte talvolta caricaturali, praticato nell’Arcadia di Villa Piccolo, è venuto fuori quel superbo (e ironico) capolavoro della letteratura mondiale che è Il Gattopardo.

Che Tomasi di Lampedusa abbia trovato, per alcuni aspetti (non tutti) fonte diretta d’ispirazione a Villa Piccolo e dintorni, lo ha dimostrato nel 2000 Franco Valenti, nel suo I Misteri del Gattopardo (Marna Editore), nel quale ha evidenziato riferimenti inequivocabili: per esempio, l’isola di Salina citata nel romanzo, feudo del protagonista Don Fabrizio Corbera “principe di Salina”. Isola che lo scrittore vedeva da Villa Piccolo. O la collina “Monte Morco”, più volte citata nel romanzo, che si trova verso sud a pochi chilometri da Villa Piccolo; o anche il citato (sarcasticamente), “barone del Biscotto”, personaggio realmente vissuto nell’Ottocento a Naso (Saverio Biscotto, che tutti, per canzonarlo, chiamavano barone). Oppure Don Ciccio Tumeo, compagno di caccia del principe Salina nel Gattopardo, che era un dipendente dei Piccolo, conosciuto dallo scrittore a Ficarra. Persino il “paesino piccino piccino, San Cono”, di padre Pirrone, è nella realtà un piccolo borgo dei Nebrodi, non troppo distante da Villa Piccolo.

Oltre a questi, esistono ancora tanti altri riferimenti tra il Gattopardo e l’area “nebroidea”, scoperti di recente (alcuni filologicamente eccezionali), che saranno oggetto di future pubblicazioni esegetiche da parte degli studiosi.

È chiaro perciò che alcuni personaggi e alcuni luoghi del territorio di Capo d’Orlando, Naso e Ficarra, nel cui baricentro si trova Villa Piccolo, sono stati fonte d’ispirazione diretta de Il Gattopardo. Forse per questo motivo, il visitatore sente l’incantesimo di respirare ancora oggi quel mondo gattopardesco, tanto amato dal principe Lampedusa e dai Piccolo. Un grande potere evocativo, per esempio, lo emana il cimitero dei cani, esistente ai margini del tunnel di glicine della Villa, lato Palermo, voluto dai Piccolo. Fra le lapidi che recano i nomi degli amati cani, in una si legge “Crab.” Il cane di  Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Aveva girato mezza Europa insieme al padrone ed era morto a Capo d’Orlando. Il principe Lampedusa, quando era ospite alla villa, non dimenticava mai di portargli un fiore sulla tomba, come fosse un essere umano. E di questo, i suoi cugini Piccolo erano assai compiaciuti.